Balli

BalliPer poter parlare delle danze che oggi il gruppo rappresenta riportando alla luce un mondo più o meno recente, è necessario prima fare un tuffo nel passato, immergersi nella storia, in quella storia rimasta nell’ombra fino ai giorni nostri, degli umili, degli ignari, dei dimenticati, dei senza nome, la storia degli agricoltori, dei pastori, delle femminette e dei fanciulli, la storia del vero popolo, la storia religiosa, dei costumi e letteraria.
Che cosa poteva rappresentare la danza per gl’Italici di “Cacerinum” , progenitori dei sangiovannari, tre secoli prima della venuta di Cristo, se non il racconto figurato di miti e leggende, se non la stessa ragione di essere, di esistere, se non il mezzo più immediato per portare a conoscenza di altri il proprio mondo politico, sociale e culturale
Nel 1976, scavi archeologici iniziati due anni prima, hanno riportato alla luce i resti del Santuario Sannitico che sorgeva sul “Colle Rimontato” a poco più di un chilometro da San Giovanni in Galdo, fin dal III° sec. a.c.
Il Santuario, delimitato dalla zona sacra che occupava una superficie di circa 800 metri quadrati, lascia pensare ad intense attività sacre.

Difatti, il piano del podio del tempietto è sfornito di gradinata d’accesso, per cui le attività connesse al santuario avevano svolgimento nell’aria antistante. Ed è appunto in quest’area, che venivano compiuti riti religiosi con l’esecuzione di danze propiziatrici, di ringraziamento, di olocausti e di offerte.
Proprio qui, su questo colle a 750 metri s.l.m., di fronte ad un panorama che si offre allo sguardo umano semplicemente incomparabile nel dolce degradare delle colline fino al bacino del Fortore e più in la ai monti della Daunia, immersi in una pace profonda, avvolta in un intenso profumo di ginestre, umili anime di popolani superstiziosi scrivevano la loro storia, che oggi ci viene dai reperti e dagli oggetti rinvenuti.
M la storia non basta ad illuminare il processo evolutivo di un rito, di una credenza, di un linguaggio, di un canto, di una danza, che continuano per tradizione in un popolo.
La tradizione non è mai quasi pura. I tempi attraverso i quali essa si è portata fino ai nostri giorni, hanno influenzato la sua natura, come le generazioni che l’hanno raccolta e l’hanno tramandata di padre in figlio.


U balle du maccheture (il ballo del fazzoletto)

È una danza popolare a ritmo ternario che pone in primo piano il fazzoletto delle donne. È un intreccio di figure che stanno a significare la volontà del cavaliere di impossessarsi del fazzoletto e l’abilità della donna di non farselo prendere, perché la presa di questo non è altro che un simbolo di cedimento. Solo l’offerta spontanea del fazzoletto da parte delle dame consente ai cavalieri di ballare con esse una danza tanto desiderata quanto gioiosa

BalliU balle du sperchje (il ballo dello specchio)

Anch’essa rappresenta una danza di corteggiamento che come quella del fazzoletto si consumava durante le serate danzanti e matrimoni. A far da padrone è lo specchio, protagonista della danza, danza che si volge in due tempi e che veniva eseguita solo dagli uomini. Si svolge in due tempi; durante il primo i cavalieri si avvicendano uno alla volta nel corteggiare la dama che possiede nelle sue mani lo specchio. È durante questa fase che gli uomini sfoggino il numero più bello del loro repertorio, per non essere rifiutati dalla dama a ballare con lei con la simbolica cancellazione della immagine del cavaliere stesso riflessa sulla specchio. Nel secondo tempo, dopo che la dama ha fatto la sua scelta di ballare con il cavaliere che è nei suoi favori, tutti gli uomini rifiutati, risentiti, ballano una danza dispettosa al ritmo frenetico di tamburelli.
Ma la cosa singolare e curiosa è che i nostri antenati chiamavano questa danza “U balle di curnute”, Il ballo dei cornuti.

BalliU balle da chettore-Fentanebballe (il ballo della tina)

È la danza d’amore per eccellenza. Le figurazioni sono un vero e proprio racconto amoroso dai toni sfumati, talvolta melanconici e appassionati. L’appuntamento, la fonte, i sussurri, i sospiri, le lacrime, il bacio, il tutto condensato in un vero e proprio affresco che con la sua compostezza e dolcezza espressiva riconduce la memoria all’amore di un tempo passato.
“Tu vai alla fonte per attingere acqua ed io ti cerco e alla fonte ti trovo per attinger amore”.
Proprio a piedi del paese si trova il fatidico luogo d’incontro Fentanebballe, ovvero la fontana grande dove i nostri antenati andavano ad attingere l’acqua e la strada che la congiungeva al paese diventava un percorso della memoria e di un passato autentico e straordinario.

U balle di zite (la danza degli sposi)

Rappresenta il ballo delle feste nuziali, al quale dovevano prendere parte obbligatoriamente gli sposi, i padrini e le madrine.
È l’ultima prova di castità e fedeltà della sposa, prima di iniziare la vita coniugale. Alla richiesta maliziosa e tentatrice dello sposo di un indumento personale quale pegno d’amore, la sposa decisamente risponde di no; ella cede solo di fronte alla richiesta del bacio, pura essenza di vero amore, dell’amore che l’ha portata sull’altare.

BalliU balle dell’angele (il ballo degli angeli) Piperulì Piperulà

Dopo che la coppia si era unita bisognava procreare e cullare il sonno dei nascituri. La danza degli angeli o “Piperulì Piperulà” come l’amavano chiamare le nostre nonne, è un felice parto di una credenza popolare.
Il momento della vita quotidiana che vede la mamma cullare la propria creatura, non poteva non colpire la fantasia del popolo che con leggiadria di toni e di accenti ha reso soprannaturale un rapporto così intimo.
Seconda una vecchia credenza, infatti, quando la mamma culla la propria creatura, una schiera di angeli le fa corona, seguendo con la danza la sommessa cantilena. Il bimbo sorride agli angeli e il sonno non può tardare.

U contemmaluocchje (la danza del contromalocchio)

È un ballo rituale di origine remota che apriva le serate festose di famiglie contadine. Bisognava per forza di cose, scongiurare dalla casa in festa il “malocchio” o la diabolica “fattura”, perché la serata non fosse turbata nella sua genuina allegria.
Gli strumenti usati per la danza sono gli stessi che venivano adoperati in chiesa durante le funzioni della Settimana Santa. Nei giorni precedenti la Pasqua si consumava il rito della “scurdje parola che deriva dal verbo antico scurare e quindi significa “La scurata). Aveva luogo di sera e i protagonisti erano per la maggior parte giovani in quanto era l’unica funzione religiosa che obbligava i fedeli a produrre incondizionatamente rumore e chiasso. Il sacerdote leggeva salmi in latino e alla fine di ogni salmo si spegneva un cero. Il candelabro che sorreggeva i ceri, tredici, sei da una parte sei da un'altra ed uno centrale era di forma triangolare e veniva posto davanti l’altare. Quando si spegneva l’ultimo cero cominciava il frastuono incessante in tutta la chiesa. Gli strumenti tipici erano: raganelle, cicale e martelli di legno che sono gli stessi usati per questa danza rituale. Si chiama anche danza della strega perché era una fattucchiera a prendere la scena e scatenarsi sul ritmo incessante delle percussioni e delle cicale.

U balle di baschettare (la danza della vendemmia)

Rappresenta una danza legata al lavoro nei campi e rientra in un insieme di danze chiamate “della fatica”.
Si usava ballare durante il periodo di vendemmia nel quale periodo i sangiovannari erano molto impegnati.
Le vigne contadine sangiovannare erano ricche di uve e specialmente di “Tintilia”, vigneto perticolarmete pregiato nell’agro di San Giovanni in Galdo per la sua ottima posizione geografica.
Durante il periodo di raccolta le giovani donne passavano tra i filari rigogliosi di grappoli d’uva baciati dal sole, con le “baschett”e sul capo. Le baschette erano delle ceste dove venivano adagiati i grappoli d’uva e la danza prende il nome proprio da queste ceste di vimini e paglia, “i baschettare”.

U balle di meteture (la danza dei mietitori)

Questa danza rappresenta quel momento di vita vissuta che ha toccato in maniera particolare l’animo dei nostri antenati. È la danza della raccolta del grano. Era luglio e sotto un caldo asfissiante i nostri braccianti agricoli, “transumanti”, prendevano la strada verso le Puglie o meglio verso la Capitanata il cosiddetto “granaio d’Italia”, per andare a mietere il grano precoce. I Tratturi, autostrade di un tempo erano affollate dai nostri viandanti agricoli che pur di portare a casa quel pezzo di pane vitale per il sostentamento della famiglia si sottoponevano ad una fatica sia fisica ma soprattutto morale. La danza rievoca proprio quel momento in un crescendo di emozioni che i gesti coreutici della danza stessa suscitano.
L’elemento che più amplifica gli stati d’animo è il lamento dei braccianti sussurrati in un canto sacrale, arcaico, struggente che rappresenta il lamento di quelle dure giornate di fatica.
Strofe chiare, eloquenti che ci riconducono in un passato ricco di simbologie e affascinanti credenze e miti che non possono essere cancellati dal tempo nella memoria.

U balle du crevielle (la danza del crivello)

BalliÈ stata rappresentata in tre continenti; tutta l’Europa occidentale, in tutta l’Europa dell’est, America del Nord (Stati Uniti e Canada), America del Sud (Argentina e Venezuela) Medio Oriente, in mondovisione all’apertura dei Campionati Mondiali di Atletica Leggera all’ Stadio Olimpico di Roma il 29 agosto del 1987, e all’apertura dei Campionati del Mondo di Calcio il 31 maggio del 1990. Sui canali nazionali RAI, Un colpo di fortuna con Pippo Baudo e Paola Tedeschi su RAI 1, Diversamente Estate RAI 2, Telethon RAI 1, Sereno Variabile RAI 2, Paese che Vai RAI 1.
È senza dubbio la danza che più rappresenta questo straordinario gruppo. È la danza della raccolta e della pulitura delle olive.
Un tempo le nostre donne, dopo aver raccolto le olive, a sera si radunavano nei fondaci e, al lume delle lucerne fumose, attendevano alla pulitura.
Le più esperte la eseguivano servendosi di crivelli che manovravano con l’abilità di un vero e proprio prestigiatore.
Fu proprio il suono morbido e sordo delle olive nel volteggiare dei crivelli che ispirò la danza, che divenne espressione di gioia e di ringraziamento per l’abbondanza del raccolto.
Era ad esclusivo appannaggio femminile, la ballavano solamente le donne perlopiù giovani. Quanto maggiore era la bravura e la destrezza delle crivellatrici, tanto più frenetica era la danza delle giovani crivellatrici.

U balle dà chempane (il ballo della campana)

Alla mezzanotte dell’ultimo giorno di carnevale, il suono a distesa della campana annunzia, da tempo immemorabile, il passaggio dalla vita dissoluta del carnevale alla vita penitente della quaresima.
La gente si riversa nelle piazze e per le strade piangendo la morte di carnevale, mentre gli organetti accompagnati dal suono della campana invitano all’ultimo ballo: “U balle dà chempane”, tipico esempio di danza caratteristica sangiovannara, dove vivono in perfetta simbiosi “a quadriglie” e “a zemperelle”.

BalliA zempèrèlle (il saltarello)

È una danza popolare del ritmo frenetico e travolgente, che si ballava sulle aie in estate, in piazza in occasione di feste popolari e nelle case nel periodo di carnevale.
È il ballo che più di tutti ha resistito al logorio del tempo e delle mode. La danza del corteggiamento per eccellenza, il ballo sfrenato dei contadini alle donne preferite, che metteva allora e mette ancora oggi a dura prova la resistenza fisica di chi lo eseguiva.
L a musica detiene uno spessore armonico popolare, contagioso e inebriante che attraverso le diverse modulazioni riesce a trascinare i ballerini e i suonatori tutti.


A quadriglie

È una danza di origine francese che ha subito profonde trasformazioni, tanto da assumere figure di tipica tradizione sangiovannara.
A dimostrazione dell’origine esotica restano solamente i comandi tuttora pronunciati in lingua francofona, che guidano il ballo in un crescendo meraviglioso di ritmo.

 

 

 

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